
Digiuno intermittente, quando è meglio non farlo: i possibili effetti rebound - incrocinews.it
Le varianti più diffuse del digiuno intermittente e i loro effetti. Non è così positivo come vogliono farci credere.
Il digiuno intermittente si basa sull’alternanza di periodi di astensione dal cibo e di normale alimentazione, con finestre temporali variabili che vanno da 12 fino a 40 ore. Le cinque modalità più popolari includono:
- Time-restricted eating (TRE), come il metodo 16/8, che prevede 16 ore di digiuno e 8 ore di alimentazione quotidiana.
- Dieta 5:2, con due giorni settimanali di restrizione calorica a 500-600 kcal e cinque giorni di alimentazione libera.
- Eat-Stop-Eat, che consiste in un digiuno completo di 24 ore una o due volte a settimana.
- Digiuno a giorni alterni, alternando un giorno di digiuno a un giorno di alimentazione normale.
- Warrior diet, che prevede piccoli spuntini di frutta e verdura durante il giorno e un unico pasto abbondante serale.
Questi metodi hanno ricevuto attenzione scientifica soprattutto per i potenziali miglioramenti della sensibilità insulinica, la perdita di peso e la possibile prevenzione di condizioni metaboliche come la steatosi epatica. Tuttavia, come sottolinea Stefan Kabisch, esperto di metabolismo della Charité di Berlino, “l’entusiasmo attorno al digiuno intermittente non è mai stato pienamente supportato da prove solide su soggetti umani”.
Studi recenti, incluso uno del 2023, mostrano risultati promettenti, ma spesso mancano gruppi di controllo adeguati o confronti con altre diete ipocaloriche, rendendo incerto il reale vantaggio del digiuno rispetto alla semplice restrizione calorica. Ad esempio, una ricerca dell’Università di Bath ha evidenziato che, a parità di apporto calorico, il digiuno intermittente non determina una maggiore perdita di grasso addominale rispetto a una dieta costante.
Benefici e limiti: cosa aspettarsi dal digiuno intermittente
Tra i vantaggi riconosciuti vi sono la semplificazione dell’organizzazione dei pasti, la riduzione dell’apporto calorico complessivo e alcuni miglioramenti nei parametri metabolici come glicemia, pressione sanguigna e profilo lipidico. Il digiuno intermittente può anche modulare processi cellulari come l’autofagia, che contribuisce alla riparazione cellulare, e favorire la neurogenesi nell’ippocampo, elementi legati alla salute cerebrale.
Tuttavia, questi effetti sono generalmente attribuibili alla restrizione calorica più che al digiuno in sé. In particolare, il digiuno intermittente non ha dimostrato di aumentare la longevità umana in modo diretto né di prevenire malattie neurodegenerative in maniera definitiva.
Tra gli svantaggi, si segnalano difficoltà nella gestione del digiuno a lungo termine. Con frequenti episodi di fame intensa, irritabilità, riduzione delle performance fisiche e sonnolenza. Inoltre, il digiuno può indurre un effetto rebound, spingendo chi lo pratica ad assumere cibi più calorici al termine del periodo di astensione, come osservato nel contesto del Ramadan. L’aumento dell’ormone grelina, che stimola la fame, è particolarmente marcato in questi casi.

Il digiuno intermittente non è adatto a tutti. Le persone con diabete, soprattutto se in terapia con insulina, devono evitarlo o praticarlo solo sotto stretto controllo medico. Poiché può compromettere il controllo glicemico e aumentare il rischio di iperglicemia o ipoglicemia. Anche chi soffre di ipertensione, pazienti oncologici, persone con disturbi del comportamento alimentare e soggetti con insufficienza cardiaca grave dovrebbero evitare questa pratica.
Inoltre, è sconsigliato agli adolescenti e alle donne in gravidanza o in allattamento. Periodi in cui l’apporto nutrizionale regolare è fondamentale per la crescita e lo sviluppo. Un’altra preoccupazione riguarda la perdita di massa muscolare, evidenziata da studi recenti. La quale indica come il digiuno intermittente possa favorire la sostituzione della massa magra con tessuto adiposo, specialmente negli over 50.