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MILANO, 25 GIUGNO 2012, ORE 11
INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO, S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA
Mi sembra corretto dichiarare il modo con cui ho affrontato il Rapporto sulla città. Milano 2012. Le generazioni che verranno sono già qui. Ho cominciato dalla presentazione di Marco Garzonio, per passare alla postfazione del Cardinal Carlo Maria Martini e, procedendo attraverso la ricerca del professor Campiglio – l’unico autore che da tempo conosco di persona e attraverso i suoi scritti – mi sono in seguito soffermato sugli altri contributi.
Ho trovato particolarmente indovinata la scelta di dedicare il Rapporto Milano 2012 alle diverse questioni legate alla vita degli anziani (circa 200.000 persone a Milano hanno più di 70 anni, Campiglio, p. 239) e, soprattutto, di farlo tenendo ben conto del rapporto fra le generazioni. Il prof. Campiglio ne parla valorizzando l’essenziale concetto di famiglia in connessione con quella che egli chiama la catena generazionale: una «…nuova comunità di 5-8 componenti…» i cui valori di riferimento «restano vicini» (p. 229).
L’introduzione di Lodigiani dal felice titolo che gioca sul binomio old/gold offre una cornice a tutta la ricerca. Il contributo di Rosina un indicatore prezioso, quello demografico, per meglio comprendere l’oggetto della ricerca stessa.
1. Il rapporto tra le generazioni
Sono ancora molto vive in tutti noi, credo, le immagini della Visita pastorale del Santo Padre a Milano in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Esse hanno, tra l’altro, documentato quale sia il tessuto sociale della nostra città. Siamo stati testimoni dell’esprimersi di un popolo vivace che, pur affaticato dalle conseguenze dell’odierna crisi economico-finanziaria – e come potrebbe essere diversamente? – riconosce nella ricca rete di rapporti che si generano a partire da quelli familiari, una risorsa essenziale per il presente e per il futuro.
Fa parte ormai del nostro quotidiano conversare, ragionare sui segni inequivocabili dell’impatto della crisi economico-finanziaria, il calo dei consumi, l’indebitamento e l’impoverimento dei nuclei già in condizione di difficoltà. A questi si aggiunge la sempre più preoccupante questione demografica, che porta inevitabilmente con sé quella delle nascite e dello scambio intergenerazionale, con tutte le implicazioni antropologiche e sociali del caso. La catena delle generazioni familiari ad esempio ha consentito, attraverso il codice della reciprocità e della solidarietà, la circolazione equa di risorse quando questa veniva interrotta a livello sociale. Ha sostenuto i costi prevalenti del ricambio generazionale. È ovvio domandarsi fino a quando potrà continuare a farlo. Di conseguenza bisogna operare in favore della crescita demografica attraverso decise e adeguate politiche specifiche a sostegno della famiglia.
Lodigiani richiama la necessità di tre tipi di politiche illuminanti e coraggiose, che mi sembrano veramente urgenti: quelle finalizzate «ad alleggerire il carico che è posto nelle mani della famiglia (per es. più servizi socio-educativi per i bambini e di cura per gli anziani); politiche tese a realizzare un “familismo sostenibile”, ovvero a rendere il carico di cura assumibile senza sacrificare, o peggio discriminare, i caregivers familiari (per es. congedi familiari più lunghi sia per l’accudimento dei bambini che degli anziani, maggiori trasferimenti economici, riconoscimento a fini previdenziali del ruolo svolto all’interno della famiglia, orari di lavoro flessibili e amichevoli). E ancora politiche finalizzate a “sostenere i costi della natalità”, ovvero a rendere equo il sistema della tassazione rispetto all’ampiezza e ai carichi di cura del nucleo famigliare» (p. 35).
In questo senso sarebbe irresponsabile ignorare l’oggettivo legame tra la differenza sessuale, che rende possibile la procreazione, e la catena delle generazioni. Mentre custodisce la differenza dei sessi la famiglia valorizza la differenza tra le generazioni.
Le relazioni che si generano nella e per la famiglia hanno un significato e un’importanza crescente. Penso in particolare, proprio alla luce del Rapporto 2012, alla figura dei nonni che, da noi come in tutte le società europee, danno un notevole contributo non solo quantitativo, ma anche qualitativo al compito genitoriale dei loro figli. È, quello dei nonni, un sostegno prezioso non solo in termini di tempo e di energie spesi nei frangenti dell’emergenza (quando i nipoti sono ammalati o quando il tempo-scuola dei bambini non copre tutto il tempo-lavoro dei genitori), ma soprattutto per il patrimonio di esperienza educativa che essi mettono a loro disposizione. Ho potuto spesso constatare durante le Visite pastorali, che i piccoli imparano il senso del dolore e della morte assai più dai nonni che dai genitori. E questa non è una cosa di poco conto. Il tema del lifelong learning (Colombo), così come quello dell’associazionismo in prospettiva intergenerazionale (Boccacin e Bramanti) potrebbero dare organicità a questa missione dei nonni e, perché no?, dei nonni-bis.
Tra l’altro, la cura che i nonni dedicano ai nipoti (soprattutto quando sono piccoli) è un dono che consente di mantenere la relazione tra le generazioni in una prospettiva di gratuità. Una risorsa decisiva per il benessere della società civile.
L’impronta significativa di questa risorsa emerge dal fatto che, attraverso lo scambio tra le generazioni, è possibile ricostruire l’albero genealogico della famiglia (che non si riduce, evidentemente, ad un grafico il più possibile preciso e dettagliato). Nella sua Lettera alle famiglie, il Beato Giovanni Paolo II osservava acutamente che «nella biologia di ogni uomo è iscritta la sua genealogia» (cfr Lettera alle famiglie, 9).
Il tema della cura, così collocato in un’ottica di equità e di solidarietà, si apre a quello del lavoro in età matura (Marcaletti) per sfociare nella necessaria attenzione a chi è più nel bisogno.
In questa luce vanno i contributi di Gnocchi, Gori e Ghetti e dello stesso Campiglio che approfondiscono i temi della povertà in età anziana e dell’adeguamento del Welfare per l’assistenza agli anziani.
2. Anzianità e domanda di senso
I bisogni e gli stili di vita mutano (Mugnano e Palvarini): per questo la questione pratica – sottolineo pratica – del senso (significato e direzione) si fa ancor più imponente in una città che invecchia.
Il Rapporto che viene oggi presentato ha il merito di affrontare senza timore la complessità dell’attuale tessuto sociale milanese. È giustamente attento alla realtà così come è, cosa oggi purtroppo non comune. In ogni fase della storia, assecondando il reale, siamo chiamati a trovare le vie dell’innovazione e dello sviluppo. Da questo Rapporto gli anziani emergono come protagonisti decisivi per la società se sono coscienti della loro responsabilità e dei loro compiti. E non solo di quelli legati al prolungamento dell’esperienza professionale (Marcaletti) e al passaggio al pensionamento (Facchini). Le responsabilità ed i compiti non vengono meno neppure nei grandi vecchi bisognosi di cura poiché essi possono documentare il valore della vita come offerta, sorgente di quella gratuità (che non è il gratis) senza la quale il senso (direzione, significato) della vita va perduto.
Ho trovato per questo felice la decisione di chiedere al Cardinal Martini la postfazione a questo Rapporto. La sua profonda e delicata testimonianza situa adeguatamente tutti i contributi del Rapporto nell’ottica appropriata. Perché vale la pena vivere, spendere bene la propria vita a tutte le età, anche a quella estrema, anche se si è profondamente segnati dalla grande vecchiaia ormai dominata dall’ombra della morte? Afferma il Cardinale: «Le stesse stagioni della vita non sono strettamente legate alla dimensione biografica dell’esistenza. Le vedo piuttosto come stagioni dello spirito. I confini non sono tracciati una volta per tutte. E ciò dà fondamento speciale al dialogo tra le generazioni: rivela che le domande di senso che ci portiamo nel cuore si esprimono forse con urgenze e modi diversi, ma sono in fondo le stesse» (p. 245).